Questa posizione non mi ricorda niente di particolare. Non è un problema da risolvere. Eppure basta un niente per scatenare emozioni più o meno casuali, come l'imbarazzo o la rabbia. L'imbarazzo per aver giocato così male che chissà cosa il mio avversario pensa di me. La rabbia per aver giocato così male che adesso non capisco nemmeno più cosa ci sto a fare qui, perché è finita come è finita e perché è iniziata. Ma in fondo l'inizio è l'unica cosa a cui si può fare affidamento. L'inizio spiega quello che segue, lo illumina e ne delimita l'andamento. Come il servizio nel tennis, o la prima mossa di una partita di scacchi. L'inizio è così potente che domina persino l'identità, ciò che uno pensa di essere, perché in fondo non siamo condannati a un essere generico che trova proiezioni nelle singole situazioni, siamo invece sfuggenti a un'identità definita. Forse non ci credevo neanche all'epoca.
Voler vincere non è una cosa scontata. Ci sono situazioni, probabilmente molte o comunque almeno la metà, in cui dopotutto quello che voglio è perdere, farmi trascinare dagli eventi, essere uno spettatore della mia stessa vita, vederla passare davanti a me come un film di cui non sono il protagonista. Gli altri sono i protagonisti, ognuno di loro, non turbati da disequilibri o pensieri bloccanti fanno pura azione di se stessi, pura intenzione, e voce.
È impercettibile a volte, una lievissima sensazione si manifesta. Lievissima, quasi non c'è. Un dubbio nelle profondità dell'inconscio. Si può scegliere di ignorarla e ridere di lei, ma comunque ha trovato il suo posto. È un posto scomodo, è una posizione inutile, se ne parla come di un fiocco di neve che cade insieme alla pioggia e però si scioglie subito, anche prima di subito. Quasi non c'è e, se c'è stato, quasi non c'è mai stato. Ma qualcosa in qualche momento si è manifestato. E qualcuno ha preso una decisione durante l'esistenza insignificante di quel fiocco di neve freddo in mezzo a pioggia tiepida. E quella cosa che quasi non c'era ha comunque avuto un rigurgito di orgoglio nella sua quasi non esistenza. Una sensazione che è durata un secondo, meno di un secondo, e tuttavia era importante. Potrebbe esserci un'intera quarta dimensione invisibile, tutta fatta di neve, appoggiata su uno spazio tridimensionale fatto solo di pioggia, e fatalmente lo spazio tridimensionale è tutto quello di cui ho esperienza.
Il punto è che qualcuno ha deciso qualcosa su quel fiocco di neve e forse quel qualcuno non sono io. Ma non perché io non abbia il controllo sulla mia vita, forse io non esisto, esiste un agglomerato di materia organica che si rinnova periodicamente. Chi ha deciso dove mettere quel fiocco di neve avrà il potere quando quel fiocco si manifesterà in dimensioni maggiori, o minori, a seconda del punto di vista.
Forse non è che quel fiocco di neve quasi non esisteva, forse la verità è che io quasi non lo vedevo, ma c'era. Forse non sono mai stato attento, veramente attento, ho preferito ignorarlo. Razionalizzarlo. Ma qualcosa ha il controllo su quella sensazione, una sorta di intelligenza emotiva.
Il commediante da strada deve smettere di fare il coglione, camminare è una cosa seria. Ascoltarsi è una cosa seria. Cosa voglio? L'amore come prima scelta. Se non ce l'avete in magazzino, allora prendo una Ipa.
Penso che il giocatore abbia finito di fare la sua mossa, è sembrata un'eternità. Prima ero in una casella, adesso sono in un'altra, che ha anche un colore diverso. Devo essere un cavallo. Credo di essere ancora in gioco. Forse non ho ancora il controllo sulla mia vita, ma presto ne avrò di più. Presto capirò chi sono e che mosse posso fare, e forse un giorno giocherò la mia mossa autonomamente. Sono solo pensiero e niente azione? Se mi pongo questa domanda, la risposta probabilmente è sì.